Nell’ambito dello stato di emergenza dichiarato, e più volte prorogato dall’attuale governo, in esito allo scoppio della crisi sanitaria nel nostro Paese, esiste un’altra tipologia di emergenza che alberga in parecchie realtà d’Italia.
Sono i Sindaci di tantissimi paesi montani e pedemontani ad averlo sollevato, ormai da diversi anni, chiedendo il mantenimento dei servizi e dei presidi bancari a favore della popolazione residente, nelle aree interne come nelle terre alte.
I piccoli Comuni, infatti, continuano a vivere una condizione difficile sotto diversi aspetti – spopolamento, carenza di servizi, disoccupazione, invecchiamento, degrado ambientale – nonostante una legge di qualche anno fa li renda destinatari di interventi e d’investimenti da parte del governo centrale.
Una questione particolarmente delicata per queste realtà territoriali riguarda le banche, le cui filiali spesso chiudono, lasciando sguarniti i centri abitati, anche di un semplice servizio bancomat, la cui assenza costituisce un grave handicap, perché non avendo dei servizi, si corre il rischio che la gente scelga di abitare altrove, spopolando così ancora di più i piccoli Comuni.
Ecco perché i Sindaci di molti Comuni montani, ad esempio, preoccupati soprattutto per il dileguarsi degli sportelli, hanno scritto a Poste Italiane per chiedere nuovi servizi nelle aree interne e nelle terre alte.
Non pare loro sufficiente, infatti, la promessa dell’azzeramento dei tagli e delle chiusure, che Poste ha annunciato nel piano Deliver 2022: i primi cittadini vogliono più servizi là dove i tagli sono stati fatti negli ultimi dieci anni, con la conseguenza di ridurre gli orari di apertura degli uffici e di causare forti penalizzazione per tutti i residenti.
Sono necessari investimenti di importanti risorse, considerati gli utili di centinaia di milioni di euro degli ultimi esercizi maturate dal colosso postale italiano, controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Mentre le filiali delle grandi banche continuano a penalizzare questi territori, lasciando sguarniti moltissimi Comuni dei loro fondamentali presidi, le Poste valutano e si muovono con celerità per colmare gli spazi abbandonati dagli istituti di credito.
Le comunità locali di piccole dimensioni, infatti, devono tutti i giorni fronteggiare enormi difficoltà ambientali e di collegamento (tante volta carenti, quando non assenti), e rischiano di perdere un servizio fondamentale.
La classica filiale bancaria, tra il resto, ha sempre costituito un importante punto di riferimento per il territorio, in sinergia con il Comune che, generalmente, ha sempre attivato la propria tesoreria.
Lasciare tutto questo spazio alle Poste è opportuno? Si tratta di un ente che opera nel settore del credito, senza dover subire l’applicazione delle stringenti regole che vigono in questo settore. Non sono infatti, le Poste, vigilate dalla Banca d’Italia, né dalla BCE, pur operando – molte volte – in settori propri e specifici degli intermediari finanziari, come le polizze, i depositi a risparmio, i fondi comuni d’investimento, ecc.
Proprio l’assenza di tale vigilanza spesso conduce all’emersione delle cd. malpractice, ovverosia di pratiche scorrette che penalizzano i risparmiatori, come nel caso del mancato rimborso integrale di tantissimi buoni postali fruttiferi, emessi a partire dal 13 luglio 1986 e sino alla soglia degli anni 2000, di cui professionalmente mi occupo ormai da diversi anni.
Per questi, e per altri approfondimenti, puoi iscriverti al canale Youtube dell’avvocato braidese Alberto Rizzo, specializzato in Diritto Bancario e Postale, nonché direttore generale dell’Accademia di Educazione Finanziaria, ente presieduto dal professor Beppe Ghisolfi, banchiere e scrittore internazionale: VISITA IL CANALE YOUTUBE