Oggi La Stampa mi ha intervistato come esperto in materia di contenzioso sui buoni fruttiferi postali: con 71 pronunciamenti favorevoli su 71 presentati all’Arbitro bancario e finanziario, sono felice di poter continuare ad accompagnare coloro che hanno visto il loro risparmio “tradito” in un percorso tecnico-giuridico di recupero di quanto dovuto. Da La Stampa, un articolo sugli interessi sui buoni postali.
L’Arbitro bancario e finanziario dà ragione a chi chiede interessi più alti
C’è il pensionato che negli anni ’90 aveva affidato i propri risparmi ai buoni postali trentennali pensando di arrivare a incassare un bel gruzzolo a fine periodo ma che è rimasto deluso dal basso importo pagato (interessi sui buoni postali, NdS). Oppure il nipotino, ormai cresciuto e diventato adulto, che al momento del battesimo aveva ricevuto un buono postale dai nonni. Faceva affidamento su quei soldi ma alla fine ha riscosso molto meno del previsto. Sono soltanto alcuni degli esempi di risparmiatori che si sono rivolti all’Arbitro bancario e finanziario per ottenere più interessi sui propri vecchi buoni fruttiferi. I contenziosi su questo caso, già noto da tempo, sono in continuo aumento. Secondo i dati dell’Arbitro bancario finanziario (Abf), quelli arrivati nel quarto trimestre del 2019 erano pari al 14% delle dispute complessive, contro un 5% del 2018.
Adesso una nuova decisione del Collegio di coordinamento dell’Arbitro (6.142 del 3 aprile 2020) dà ragione ai risparmiatori e apre le porte a una nuova ondata di rivalse per chi ha nel cassetto i Buoni postali fruttiferi. I casi riguardano in pratica tre serie: la «Q/P», la «P» e la «Q». Si tratta di strumenti sottoscritti a partire dal 1° luglio 1986 (i contenziosi valgono anche per i buoni già incassati). Permettono, a chi li ha, di vedersi pagare qualche migliaio di euro di interessi aggiuntivi rispetto a quelli già ottenuti. E’ quanto successo a due fratelli di Bra. I vecchi Buoni sottoscritti dal padre, ormai deceduto da qualche anno, che a scadenza avevano pagato un importo di 27 mila euro, con il ricorso all’Arbitro hanno «fruttato» altri 23 mila euro di interessi. Soldi che Poste non aveva pagato correttamente al momento della liquidazione.
Ricordiamo la vicenda che nasce da un errore di timbri ripetuto per anni e che adesso può portare a intascare interessi più generosi anche del 3% l’anno per dieci anni. Per capire il caso occorre tornare indietro fino al 1986. Il 13 giugno di quell’anno, il ministro del Tesoro dell’epoca, Giovanni Goria, con un decreto dimezza gli interessi spettanti per i Buoni fruttiferi postali. Inoltre il decreto istituisce, da quel momento in avanti, una nuova serie di buoni, la serie contrassegnata dalla lettera «Q». Allo stesso tempo mette fuori legge la serie «O» dei buoni emessi prima dell’84. Poi istituisce due cardini importanti per regolare questa novità. Il primo è che ai buoni della serie «P» venga apposto un timbro sul fronte con la dicitura «Q/P» e che allo stesso tempo anche sul retro del pezzo di carta ci sia un timbro con l’ammontare dei nuovi interessi spettanti. Queste due regole sono state applicate in maniera più diversa nei decenni dagli uffici postali di tutta Italia. Tanti sono stati gli errori commessi. Il risultato è che in circolazione sono stati messi un gran numero di buoni della serie «Q/P» con un timbro sul retro solo per i primi venti anni del titolo e che oggi devono pagare gli interessi dell’epoca per i restanti dieci anni. Stessa cosa per i buoni «P» senza la dicitura «Q/P» sul davanti e timbro inesatto sul retro, fino addirittura ai titoli del tipo «O», fuori legge, che però hanno continuato a essere distribuiti e che presentano pure i timbri sbagliati.
Un grande pasticcio che adesso i risparmiatori iniziano a cavalcare. Come si fa a capire se si ha nel cassetto un buono che può valere molti soldi? «Occorre verificare il buono, vale a dire il pezzo di carta, che si ha a disposizione – spiega l’avvocato Alberto Rizzo, esperto di diritto bancario e finanziario -. L’arco di tempo è lungo, la vicenda parte il 13 luglio del 1986 e arriva a coprire i buoni emessi fino a tutto il luglio 1995».
E cosa si può fare se non si ha più il pezzo di carta perché magari è stato ritirato da Poste Italiane al momento della riscossione? «Il risparmiatore ha diritto a ottenere un duplicato del buono per valutare i suoi diritti – spiega l’avvocato -. Si tratta di un documento fondamentale perché poi va prodotto in giudizio arbitrale. Basta chiederlo allo sportello postale».
E gli eredi? «Hanno diritto al ricorso così come a ottenere i duplicati dei buoni». Occorre tuttavia conoscere i tempi: per il contenzioso c’è spazio, a patto che non siano trascorsi più di 10 anni.
Sandra Riccio