Quali modelli geopolitici ed economici soppianteranno le impalcature su cui si è retta la società occidentale negli ultimi 30 anni
Avanza la sfida della de-globalizzazione
Nello scorso mese di aprile ha fatto parecchio discutere il discorso che l’amministratore delegato del fondo di investimenti BlackRock, Larry Fink, ha rivolto ai soci.
Si tratta di una lettera annuale che Fink ha inviato agli investitori, nella quale fa il punto sulla situazione geopolitica ed economica globale, accompagnata da alcune considerazioni sui profitti generati dalle scelte finanziarie operate dal fondo BlackRock.
Occorre leggere molto attentamente il testo della lettera
(https://www.blackrock.com/corporate/investor-relations/larry-fink-chairmans-letter).
Fink afferma chiaramente che la globalizzazione degli ultimi 30 anni è sostanzialmente giunta al suo termine e, successivamente, arriva chiaramente a parlare della sfida della de-globalizzazione.
Le famiglie dell’alta finanza, quali i Rothschild ed i Rockefeller, sono perfettamente consapevoli che la stagione del mondo globale integrato è finita.
Nella fase della de-globalizzazione, gli Stati nazionali sono destinati a riconquistare i poteri perduti: la stessa infatti, si basa sul decentramento, sulla produzione locale e sulla responsabilizzazione.
Globalizzazione e centralizzazione del potere
La globalizzazione, al contrario, ha fondato il proprio impianto sulla centralizzazione del potere economico e politico. Ha creato scarsità ed è stata dannosa per l’economia globale, a causa della creazione di uno sviluppo irregolare.
La globalizzazione è stata particolarmente dannosa per l’economia mondiale: per decenni, infatti, ha vietato lo sviluppo ai paesi in via di sviluppo ed a quelli sottosviluppati.
Ha promosso la produzione all’estero, sottraendo posti di lavoro domestici, ed ha altresì incoraggiato i paesi centrali a sfruttare le risorse nei paesi sottosviluppati.
La globalizzazione rappresenta quel filo rosso che lega, in un qualche modo, le tre recenti crisi: finanziaria del 2008, pandemica nel 2020 e bellica del 2022.
Questo fenomeno ha accresciuto enormemente il grado di interdipendenza sistemica dei vari paesi, favorito attraverso gli scambi e la specializzazione produttiva della crescita dell’economia mondiale, ma ha anche innescato l’emergere di squilibri economici, finanziari, sociali, ambientali e geopolitici per cui oggi, con sorpresa di molti ma non di tutti, ci viene presentato il conto.
Inflazione e sanzioni economiche
È significativo notare come l’attuale fase di crisi metta in forte evidenza due importanti dinamiche della globalizzazione.
La prima è riferita all’inflazione: un fenomeno che nei paesi avanzati, e soprattutto in Europa, non destava preoccupazione da qualche decennio, ma che torna prepotentemente alla ribalta.
È stata la globalizzazione, insieme alla diffusione delle ICT, a garantire negli ultimi decenni la stabilità dei prezzi, in un contesto di elevata crescita mondiale, ed è la stessa globalizzazione – e la cresciuta interdipendenza delle economie – a generare le tensioni strutturali sui prezzi che oggi osserviamo.
La seconda consiste nell’accresciuta capacità delle sanzioni economiche di surrogare l’azione militare, come strumento di pressione verso stati sovrani non allineati agli interessi e ai valori occidentali.
La globalizzazione, infatti, spiega in larga parte l’ascesa delle sanzioni, poiché maggiore è l’integrazione di un paese negli scambi internazionali, maggiore è l’impatto delle sanzioni.
D’altra parte, il processo di globalizzazione non è stato neutrale e ha anzi cambiato radicalmente i rapporti di forza tra i Paesi.
La posizione di Giulio Tremonti
In una recente intervista (https://www.ilfoglio.it/economia/2022/04/14/news/-vi-spiego-perche-la-globalizzazione-e-in-crisi-la-versione-di-tremonti-3906624/) il Prof. Tremonti ha espresso considerazioni condivisibili sulla crisi che sta irreversibilmente attanagliando la globalizzazione.
Secondo il Professore, infatti:
“La fine della guerra, quando ci sarà, non segnerà la fine del disordine. E’ la fine dell’utopia e il ritorno della geografia. La storia è tornata con gli interessi arretrati, accompagnata dalla geografia. La struttura della globalizzazione viene definita nel 1994 con l’accordo Gatt (General Agreement on Tariff and Trade, ndr), contenuto nell’allegato 1.a dell’Accordo istitutivo della Wto, dove trade non sta per commercio ma mercatismo (parola di cui lo stesso Tremonti detiene il copyright), che rappresenta l’ultima ideologia del Novecento. Il mondo si unifica nella logica del mercato come matrice del bene economico politico morale, come un assoluto. E’ l’architettura del mondo: sopra il mercato e sotto gli stati pacificati in eleganti rapporti di competizione e concorrenza. La globalizzazione è un’utopia che nasce allora, l’‘assenza di luogo’ ne è la quintessenza. Chi, all’epoca, frequentava i circoli degli illuminati, sentiva ripetersi la parola ‘momentum’, il senso della ineluttabile e fatale necessità di fare tutto subito. Il poeta di corte è Francis Fukuyama, il teorico della fine della storia. Il disegno è quello della produzione in Asia e del consumo in occidente, l’Asia è la fabbrica del mondo e l’occidente, se produce qualcosa, produce servizi. Se un tempo il principio era soviet + elettrificazione, adesso è internet + container. Prima esistevano gli stati, i confini, la rule of law, le monete nazionali, le tasse. Tutto ruotava attorno alla triade ‘liberté égalité fratenité’, adesso soppiantate da ‘globalité marché monnaie’”.
Tremonti, in particolare, ritiene che le asimmetrie attuali siano causate dalla caduta dell’ordine globale: rarefazione di materie prime, inflazione, incertezza, speculazione:
“Abbiamo insieme inflazione e recessione, e non disponiamo di strumenti adatti a fronteggiare la crisi. Siccome nella storia conta l’iconografia, due anni or sono, a Francoforte si tenne il passaggio di consegne tra l’uscente Mario Draghi e la neopresidente Christine Lagarde, in platea ad applaudire c’erano i capi di stato e di governo. Lei avrebbe visto Cossiga, De Gasperi, De Gaulle, Adenauer, Mitterrand in platea ad applaudire i banchieri? L’asse del potere si è spostato dai popoli e dai governi ai banchieri centrali che non sanno più gestire l’eccesso di potere accumulato”.
Ricordo, a proposito delle dichiarazioni di Tremonti (da molti definito antiglobalista e nemico della finanza) che, tra i dispacci disvelati da Wikileaks, ce n’è uno che lo riguarda direttamente.
Il 30 ottobre 2008 l’ambasciata di Roma manda a Washington un cablo “confidential” che evidenzia la volontà del Professore, pubblicamente dichiarata, di attuare una “riforma radicale della finanza internazionale, di abolire gli hedge fund, di ridisegnare il ruolo del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale; nello stesso messaggio i diplomatici la descrivono come alfiere di una “filosofia economica abbastanza eclettica”.
E “Il Fantasma della povertà”, pubblicato nel 1995, Tremonti espone un set di idee per difendere il benessere dei cittadini. Lo diceva già allora: se i capitali vanno in Asia, si esportano capitali e si importa povertà.
In democrazia il portafogli dei contribuenti è un fattore molto importante. E’ ridurre la povertà nel mondo mettere mezzo miliardo di cinesi su un’automobile? O è causa di un inquinamento ingestibile, essendo vecchie auto con vecchi motori? I fatti cui assistiamo sono tutti fenomeni che si manifestano contro il dogma della globalizzazione.
Il ruolo della Russia
In questo quadro complesso, la Russia ha riaffermato – attraverso l’azione in Ucraina – la rilevanza degli aspetti militari nel definire gli assetti geostrategici e messo a dura prova la fiducia nella capacità di deterrenza delle sanzioni.
I cambiamenti nei rapporti di forza prodotti dalla globalizzazione possono, infatti, contribuire a ridurre la credibilità della minaccia delle sanzioni se le dipendenze strategiche ed economiche dei paesi che le dovrebbero imporre sono particolarmente rilevanti a causa dei costi di ritorno.
Il problema del blocco delle importazioni di gas dalla Russia ne è un chiaro esempio.
Intanto il rapporto di cambio tra dollaro e rublo è arrivato a 70: ovvero un dollaro per 70 rubli. Solamente pochi mesi fa superava di gran lunga i 100 rubli.
La de-globalizzazione ci sta portando verso la de-dollarizzazione.
Il ritorno degli Stati nazionali porterà alla fine del potere del governo occulto di Washington e condurrà alla fine della moneta della finanza internazionale?
Monitoreremo puntualmente gli sviluppi.
La Cina e l’Occidente
È, inoltre, la condizione in cui si ritrova pienamente oggi l’Occidente e, in particolare, l’Europa, nei confronti della Cina.
Basti pensare che l’esposizione della prima economia europea, quella tedesca, rispetto alla Cina è straordinariamente più ampia di quella verso la Russia.
A fronte di circa sessanta miliardi di euro scambiati tra la Germania e la Russia nel 2021, tra cui 20 miliardi di euro di importazioni di gas e petrolio, c’è un volume commerciale di 245 miliardi di euro con la Cina nel 2021.
Senza parlare delle dipendenze strategiche dei paesi UE da prodotti e tecnologie cinesi, su cui solo ora si cerca di intervenire attraverso azioni volte al miglioramento della sovranità tecnologica e digitale dell’Unione.
La concorrenza “sistemica” che la Cina pone all’Occidente attraverso il suo regime ibrido tra economia di mercato ed economia pianificata, andrà di conseguenza affrontata con la massima attenzione.
In questo momento la Cina appare non solo più abile nell’utilizzare le politiche pubbliche per imprimere nei fatti una direzione al processo di sviluppo tecnologico e produttivo del paese, ma sembra anche più capace di valorizzare le dinamiche di mercato.
È un aspetto poco sottolineato, ma la straordinaria competizione di mercato esistente tra le imprese cinesi favorisce la rapida selezione delle migliori soluzioni per lo sviluppo e il successo commerciale di nuovi prodotti e servizi, in grado di sfruttare il potenziale economico delle nuove tecnologie, a partire da quelle collegate all’intelligenza artificiale.
In altre parole, l’economia cinese si dimostra in grado di sfruttare al meglio anche i meccanismi propri che hanno caratterizzato il successo dei sistemi occidentali.
Un risultato che potrà essere ottenuto facendo leva sui due strumenti prima indicati a proposito della Cina: valorizzazione delle dinamiche di mercato e capacità di esecuzione delle politiche.
In particolare, la complessità di gestione di politiche trasformative dei nostri sistemi produttivi va prima compresa e poi affrontata, ma occorre farlo in fretta perché la storia ha già bussato alla nostra porta.
Dalle dure lezioni di oggi ne usciremo migliori?
O dovremo accontentarci del solito “ne usciremo!”?
Trump sull’essenza del globalismo neoliberale
A questo riguardo, e nel corso del Suo discorso tenutosi a fine aprile davanti ad una numerosa folla in Ohio, Trump ha spiegato l’essenza del globalismo neoliberale.
Trump ha spiegato come questa ideologia, e il potere che la sostiene, sia stata inoculata come un veleno fino a portare al decadimento economico degli Stati Uniti.
Queste le sue parole (https://t.me/TheStormHasArrived17/9358):
“Per decenni il vostro Stato è stato barbaramente tradito da politici globalisti, interessi particolari corrotti, e radicali della sinistra che hanno spedito altrove i vostri lavori, spento le vostre fabbriche, chiuso i vostri centri siderurgici, aperto i vostri confini, abbattuto i vostri salari, e lasciato che bande criminali e droghe letali invadessero le vostre comunità in Ohio. Abbiamo messo fine a tutto questo. Gli abbiamo messo fine immediatamente.
Questa è l’agenda di Davos, del Club di Roma, della Trilaterale e di tutti gli altri club privati che per decenni si sono rinchiusi dentro le loro stanze e hanno deciso della nostra vita. I politici che hanno governato l’America e l’Europa erano soltanto degli agenti esecutori di questi ordini. Questi ordini prevedevano la completa distruzione degli Stati nazionali e di tutto ciò che c’era dentro.
Tutto il benessere e la ricchezza delle nazioni è stato spazzato via per essere trasferito nelle mani dei signori della finanza e delle corporation internazionali. L’America è stato il centro ed il motore di questo piano per decenni e decenni”.
In questo quadro, Trump ha strappato l’America dalle mani di coloro che l’avevano ridotta in macerie e l’ha restituita al popolo americano.
La ragione per la quale Trump è il presidente che ha subito più attentati e più colpi di Stato è proprio questa.
Il nuovo mondo multipolare che sta nascendo
Per chiudere la presente analisi, è interessante ancora osservare quanto sta accadendo in questo periodo in Pakistan (https://www.rt.com/news/553154-pakistan-india-foreign-policy/).
Il primo ministro Khan ha recentemente denunciato dei tentativi di sovvertire il suo governo e persino dei piani per assassinarlo. Il primo ministro pakistano ha irritato profondamente alcuni potenti circoli di Washington, quali il Council on Foreign Relations e la Commissione Trilaterale.
Khan ha espresso aperta ammirazione per la politica estera dell’India che si è conquistata la sua indipendenza e ha messo al centro della propria agenda la difesa degli interessi nazionali.
L’avvicinamento tra India e Russia preoccupa molto la finanza Occidentale perché il nuovo mondo multipolare che sta nascendo sta diventando preminente sullo scacchiere internazionale.
Russia, Cina, India, Brasile, Sudafrica e ora anche il Pakistan.
I fanatici euristi hanno fatto credere per decenni che oltre l’UE per l’Italia non c’era nulla.
Oltre l’UE là fuori c’è il mondo intero che attende l’Italia.
L’UE è parte del passato.
Il mondo multipolare è il prossimo futuro.
Eccellenze al servizio dell’Italia
Alcuni commentatori storcono la bocca di fronte alla prospettiva di unire il nostro Paese ai BRICS, per far parte del nascente mondo multipolare.
E fondano queste loro contrarietà al fatto che in tale blocco c’è la Cina.
Ma ripudiare, per via della Cina, questa alleanza – che assegnerebbe un peso enorme all’Italia – è un marchiano errore.
Stabilire, infatti, rapporti ed alleanze geopolitiche con un determinato Paese non vuol dire adottare il modello sociale e culturale di quel Paese. L’esempio più lampante a questo proposito ci viene dalla Russia e dal suo rapporto con la Cina. La Russia coltiva rapporti e alleanze con Pechino perché questi sono funzionali ai suoi interessi ma non per questo la Russia adotta il modello culturale cinese.
La società russa fondata sulla difesa delle radici cristiane è praticamente antitetica a quella cinese fondata invece sull’ideologia comunista. Al tempo stesso, la Russia non rinuncia certo alla sua indipendenza stabilendo rapporti con la Cina.
Questo è quello che è stato fatto in Italia con i governi degli ultimi 30 anni, e se vogliamo restare sulla storia recente possiamo citare il governo Conte I e il regime di Draghi.
Il primo governo Conte firmò la via della Seta con la Cina e aprì le porte dell’Italia alla colonizzazione cinese.
Il regime di Draghi invece ha firmato il patto del Quirinale e ha spostato l’asse della colonizzazione straniera in Italia da Pechino a Parigi.
Questo non è stabilire alleanze geopolitiche.
Questo è consegnare il proprio Paese a poteri stranieri e sovranazionali.
Pertanto si può tranquillamente entrare nei BRICS e stabilire rapporti con la Cina.
Si deve farlo però in un’ottica di difesa dei propri interessi nazionali e non di quelli altrui.
È questo di cui l’Italia ha bisogno.
L’Italia ha bisogno di politici al servizio della Nazione.
La morte della seconda Repubblica aprirà le porte alle eccellenze che da tempo attendono di mettersi al servizio dell’Italia.
Per questi, e per altri approfondimenti, puoi iscriverti al canale Youtube dell’avvocato braidese Alberto Rizzo, specializzato in Diritto Bancario e Postale, nonché direttore generale dell’Accademia di Educazione Finanziaria, ente presieduto dal professor Beppe Ghisolfi, banchiere e scrittore internazionale: VISITA IL CANALE YOUTUBE