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InformazioneInflazione: sfida congiunturale o strutturale?

11 Ottobre 2022

Se avessimo stampato la moneta di cui avevamo bisogno, saremmo usciti dalla crisi anni fa, ma il neoliberismo ha tolto agli Stati la facoltà di poter creare la moneta e di essere finanziariamente indipendenti

 

di Alberto Rizzo

Cause, costi e rimedi dell’inflazione

Il ritorno dell’inflazione, dopo circa quattro decenni di “Grande Moderazione”, ha recentemente ravvivato il dibattito che ha opposto keynesiani e monetaristi negli anni Settanta.

La questione di oggi è la stessa di quarant’anni fa: quella relativa alle cause, ai costi ed ai possibili rimedi da adottare per contenere l’inflazione.

Ed oggi, come allora, si fatica ad imporre nel dibattito il tema della cd. eterogeneità settoriale, con la presenza di squilibri di segno opposto in settori diversi dell’economia.

La natura degli squilibri

Tali squilibri hanno generalmente una dimensione strutturale: segnali di cambiamenti tecnologici, di preferenze dei consumatori, o anche di shock geopolitici, che colpiscono alcuni mercati più di altri.

Questi richiedono una riconfigurazione del tessuto produttivo che non può mai avvenire istantaneamente, essendo vincolata ai tempi di costruzione della capacità produttiva.

L’inflazione, in buona sostanza, si caratterizza per essere sempre un fenomeno di tipo microeconomico.

A sua volta, l’inflazione può modificare la distribuzione del reddito, con la conseguenza di penalizzare l’acquisto di beni da parte delle categorie che ricevono uno stipendio fisso e favorire, invece, l’acquisizione dei beni di lusso.

Allo stesso modo, l’incertezza può accorciare l’orizzonte temporale delle imprese che, sempre alla ricerca della flessibilità, non sono più incentivate ad investire nel lungo termine, con il rischio di limitare ulteriormente l’offerta, così cagionando un’inflazione ancora più elevata.

 

 

La complessità della realtà

Limitarsi alle valutazioni sulla misura transitoria o permanente dell’inflazione, tuttavia, non rende giustizia a questa realtà complessa.

Non si può, infatti, ragionare solo in termini di ritorno più o meno rapido all’equilibrio, né limitarsi a considerare l’inflazione un fenomeno puramente monetario, derivante da comportamenti più o meno irresponsabili dei governi e delle banche centrali.

Ignorare le fondamenta microeconomiche e settoriali dell’inflazione impedisce di comprendere il ruolo dei prezzi nel favorire od ostacolare gli aggiustamenti settoriali, portando a sottovalutare il rischio di errata allocazione delle risorse generata dalla inflazione, e del relativo impatto redistributivo.

Il tramonto della stabilità dei prezzi

La stabilità dei prezzi registrata negli ultimi quarant’anni è generalmente attribuita alla conquista dell’indipendenza delle banche centrali, quasi tutte divenute indipendenti all’inizio degli anni Ottanta.

In realtà, tale stabilità è stata causata dall’assenza di marcati squilibri nei mercati, rispettivamente, del lavoro e dei beni.

La moderazione salariale, unita alla riduzione del potere negoziale dei lavoratori, sono stati possibili grazie all’importazione di beni di consumo dai Paesi emergenti, prodotti a basso costo.

Le innovazioni finanziarie hanno permesso, in particolare sui mercati legati alle nuove tecnologie, di soddisfare l’esigenza di finanziare gli investimenti e di introdurre le nuove tecnologie.

Dai primi anni 2000, dopo una prima crisi finanziaria – lo scoppio della bolla di Internet – sono emerse tendenze deflazionistiche.

 

 

L’aumento dei risparmi

Il rallentamento della produttività, nonché dell’investimento produttivo, ha coinciso con un aumento dei risparmi: la Grande Moderazione, citata in premessa, ha così lasciato il campo alla stagnazione secolare.

Contemporaneamente, gli eccessi di risparmio hanno alimentato mercati finanziari sempre più sovradimensionati, alimentando l’inflazione delle attività finanziarie ed immobiliari, mentre i prezzi dei beni di consumo sono rimasti stabili, grazie alla moderazione salariale ed alle importazioni dai Paesi a basso salario.

La recrudescenza dell’inflazione

L’inflazione è prepotentemente riemersa sotto forma di aumenti dei prezzi, rispettivamente, nei mercati delle materie prime e di molti beni intermedi. È il risultato del rimbalzo registrato dopo la pandemia, nonché della persistenza di strozzature lungo le catene del valore, inasprito dalla guerra in Ucraina. L’aumento ha colpito più duramente i beni proporzionalmente più presenti nei panieri delle classi meno abbienti (energia ed alimentari, in primo luogo), rafforzando le disuguaglianze.

Un simile fenomeno capitò anche negli anni Settanta, quando proprio l’aumento dei prezzi delle materie prime condusse a squilibri settoriali, in allora affrontati con politiche espansive, le quali innalzarono l’inflazione.

Specularmente, le politiche antinflazionistiche aggressive dei primi anni Ottanta buttarono con l’acqua sporca dell’inflazione il bambino degli investimenti produttivi, penalizzati da tassi di interesse elevati.

Ora, la crescita dell’inflazione avviene mentre accelera la transizione ecologica e digitale.

Si tratta di un processo di distruzione creativa che non potrà non condurre a nuovi squilibri settoriali, nonché a necessità di investimenti da finanziare.

In questo contesto, una politica monetaria restrittiva – come da più parti invocata -, comprimerebbe la domanda aggregata, danneggerebbe la crescita, senza peraltro risolvere nessuno degli squilibri settoriali e delle strozzature che sono l’inevitabile conseguenza dei cambiamenti strutturali dell’economia.

Inoltre, le forze che conducono alla stagnazione secolare (incertezza, disuguaglianza, rallentamento della produttività, indebitamento pubblico e privato) sono ancora tutte presenti.

Una politica monetaria restrittiva, quindi, porterebbe alla divaricazione tra i tassi di interesse di mercato e quelli “naturali”.

Questo significa che oggi, ancora più che negli anni Ottanta, si conterrebbe l’inflazione al prezzo di penalizzare l’investimento e, oltre ai costi di breve periodo, si metterebbe in pericolo la necessaria transizione ecologica e digitale.

 

 

Come affrontare l’inflazione?

Se l’inflazione è di carattere strutturale, lo strumento principale per affrontarla non è la politica monetaria ma, bensì, la politica di bilancio ed industriale.

L’obiettivo, infatti, dovrebbe essere quello di accelerare quanto più possibile il riallineamento di domanda ed offerta per i settori in cui queste sono disallineate, facilitando contemporaneamente i cambiamenti strutturali legati alla transizione ecologica e digitale.

La capacità di mantenere un flusso costante di investimenti pubblici e privati diventa in quest’ottica centrale, ed è ciò che rende particolarmente rischiosa la restrizione monetaria.

Per i primi è necessario che, in attesa di un accordo tra i Paesi europei sulla riforma del Patto di Stabilità, la Commissione chiarisca esplicitamente che interpreterà in modo molto flessibile le norme attuali.

Per quel che riguarda gli investimenti privati, poi, è fondamentale che le imprese non si trovino a fronteggiare scarsità di finanziamenti; le misure da adottare potrebbero spaziare da incentivi mirati per settori ed imprese particolarmente rilevanti, ad interventi sui mercati creditizi per evitare comportamenti predatori da parte delle istituzioni finanziarie, passando per l’intervento di banche pubbliche di investimento (tra cui la Banca europea degli investimenti).

Anche la BCE avrebbe un ruolo da svolgere, prolungando i suoi finanziamenti al settore creditizio, condizionati al mantenimento del credito alle PMI.

Corridoio di stabilità per l’economia?

Ma la cosa probabilmente più importante è che la politica economica riduca quanto più possibile l’incertezza, ostacolo maggiore all’investimento privato e all’allungamento dell’orizzonte decisionale delle imprese.

L’uso congiunto di politica di bilancio e monetaria (cd. policy mix), dovrebbe garantire condizioni macroeconomiche quanto più stabili possibili non solo nell’immediato, ma anche impegnandosi a non tornare inerte nel lungo periodo.

L’economia, insomma, dovrebbe essere tenuta in un “corridoio di stabilità”, che consenta di riassorbire gli squilibri e di favorire i cambiamenti strutturali.

Solo allora andrebbe considerato un aumento graduale del tasso di interesse in linea con l’aumento del tasso di crescita e con l’aumento dei profitti.

Queste misure, volte a creare le condizioni per il riassorbimento degli squilibri settoriali, dovrebbero essere accompagnate nel breve termine da misure destinate a proteggere i più vulnerabili.

Non si tratta solo di sostenere i redditi come fanno (in maniera insufficiente) i governi europei in questa fase, ma anche di considerare l’uso temporaneo di controlli dei prezzi.

Conclusioni

In conclusione, l’inflazione è il sintomo di disequilibri settoriali di un’economia in trasformazione.

Evitare un approccio esclusivamente macroeconomico consente di afferrare la complessità di un fenomeno a cui è importante rispondere mobilitando diversi strumenti: one size does not fit all.

La governance d’impresa, l’organizzazione e la regolamentazione del sistema finanziario, un rilancio dell’investimento pubblico, la politica industriale e della concorrenza, devono tutti contribuire a veicolare le risorse verso gli investimenti a lungo termine, i quali sono alla radice del progresso tecnico e della crescita.

Se non si riesce a governare la transizione, infatti, vi è il rischio reale che l’economia oscilli tra impennate dell’inflazione e recessioni indotte dalle politiche restrittive.

E l’attuale crisi artificiale dell’energia, già sgonfiatasi in larga parte, è la prova che l’aumento dei prezzi non ha nulla a che vedere con la quantità di moneta immessa nel sistema economico.

Non un singolo euro di più è stato stampato dalla BCE fino a questo momento e ciò dimostra, ancora una volta, come la correlazione che mette in relazione la stampa della moneta con l’aumento dei prezzi sia un falso assunto del neoliberismo.

Probabilmente, se avessimo stampato la moneta di cui avevamo bisogno, saremmo usciti dalla crisi anni fa.

L’essenza del neoliberismo è proprio questa.

Togliere agli Stati la facoltà di poter creare la moneta.

Togliere agli Stati la possibilità di essere finanziariamente indipendenti.

Temi sui quali occorre, oggi più che mai, riflettere per bene operare ed agire di conseguenza!

 

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