I certificati emessi più di trent’anni fa fruttavano talmente tanto che il governo decise poi di dimezzarne il rendimento. Ma il tribunale stabilisce che conta quello che c’è scritto sopra
Sono due signore di Cinzano le paladine di una battaglia innescata nei confronti di Poste italiane per il pieno riconoscimento dei tassi di interesse garantiti da buoni postali fruttiferi aperti più di trent’anni fa, nel 1988. Il tribunale civile di Asti, infatti nei giorni scorsi ha riconosciuto loro 20mila euro in più rispetto a quanto Poste avrebbe voluto dare loro.
In realtà si tratta di una vittoria che suggella quanto disposto un anno fa dall’arbitro bancario e finanziario di Torino, deputato a risolvere questo tipo di controversie. Nonostante il risultato positivo dell’arbitrato, tuttavia, Poste non aveva pagato e dunque le due donne, assistite dagli avvocati Alberto Rizzo del foro di Asti e Fabio Scaramozzino del foro di Torino, si sono rivolte al giudice civile competente per territorio.
Quella di Asti è la prima pronuncia di questo tipo ma in tutta Italia ci sono decine di migliaia di casi analoghi. Persone che avevano aperto buoni postali trentennali come forma di risparmio, o che erano stati regalati in occasione di compleanni e ricorrenze. In particolare quelli delle serie “O” e “P” garantivano interessi così alti che a certo punto il governo, per far quadrare i conti, decise di abbassarli, pressoché dimezzandoli, con una modifica disposta il 13 luglio 1986. Ed è stato allora che per molti si è ingarbugliata una situazione in cui i nodi vengono al pettine ora.
Dopo quella data, infatti, gli uffici postali di tutta la penisola avrebbero dovuto evitare di sottoscrivere i buoni di quelle due serie o, in alternativa, avrebbero dovuto apporre sul fronte e retro di ogni buono un timbro che specificasse il nuovo rendimento, molto più basso di quello segnato sul documento. Tuttavia in molti casi questo non è avvenuto. Dunque quello che rivendicano i risparmiatori è che venga corrisposto loro l’interesse indicato sul buono, sulla base del principio dell’affidamento, per cui ci si affida a ciò che è scritto sul pezzo di carta di cui si è in possesso. Quello che Poste vuole, al contrario, è pagare solo quanto disposto dalla riforma peggiorativa del 1986.
In realtà, nel caso affrontato dal giudice astigiano Marco Bottallo, per vent’anni Poste ha riconosciuto alle due donne l’interesse corretto. Ed è su quanto pagato negli ultimi dieci anni che si è innescato il braccio di ferro finito davanti al tribunale. Poste aveva dato loro 27.730 euro ma secondo l’ordinanza del giudice ne spettano ancora 20.800. “È importante che chiunque abbia un buono postale emesso dopo il giugno del 1986 lo faccia esaminare per capire se abbia diritto a ricevere un importo superiore rispetto a quello determinato da Poste – consiglia l’avvocato Alberto Rizzo – Anche se il buono è già stato incassato, ci sono 10 anni di tempo per far valere i propri diritti”.
la Repubblica del 9 Marzo 2021
Idea del 10 Marzo 2021
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