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Attività professionaleLa battaglia dei buoni fruttiferi, un avvocato dà scacco alle Poste

11 Settembre 2019

Contenzioso sui titoli emessi negli anni ’80 e ’90: vinti 60 ricorsi recuperando quasi un milione di interessi

 

C’è un consistente contenzioso in atto tra risparmiatori e Poste Italiane. L’epicentro della rivolta, molto civile peraltro, è nel Cuneese. L’ha avviata l’avvocato braidese Alberto Rizzo, classe 1972, esperto di diritto bancario e finanziario. Ha iniziato a seguire più casi (circa 60) e a ottenere sempre ragione per i suoi assistiti, recuperando quasi un milione di euro. Così, a lui, si rivolgono colleghi un po’ da tutta Italia, dove anche le associazioni dei consumatori stanno presentando ricorsi a pioggia. Oggetto del contendere i buoni fruttiferi postali emessi negli anni Ottanta e Novanta: dopo le serie ” O” ( 1981) e ” P” (1984), il Tesoro – nel 1986 – ha istituito la nuova serie ” Q”, con tassi d’interesse inferiori rispetto alla serie precedente (in certi anni più bassi anche di 3% all’anno) che però non ha indicato sui titoli.

Le emissioni di ogni buono andavano da 50 mila a 5 milioni di vecchie lire, con tasso di interesse variabile ogni tre o cinque anni, dal 9% al 15%. Poste Italiane – facendo leva su una controversa norma del Codice Postale – ha applicato retroattivamente il tasso più sfavorevole ai risparmiatori. Cosicché, trent’anni dopo, al momento dell’incasso sono iniziate le sorprese. Le persone e le famiglie coinvolte sono spesso prive di qualsiasi conoscenza di strumenti finanziari e hanno risorse limitate. ” I buoni fruttiferi postali – spiega l’avvocato Rizzo – costituiscono dal 1924 uno strumento di risparmio e investimento tra i più utilizzati dagli italiani: semplicità e chiarezza nell’individuazione della somma investita e dei rendimenti dovuti, nominativi e pagabili a vista”.

Il punto sta nell’informazione ai sottoscrittori. All’epoca degli investimenti, non è stato detto che i rendimenti promessi, e riportati nel retro dei buoni, non erano garantiti, potendo lo Stato in qualsiasi momento modificare al ribasso i tassi anche per i buoni già sottoscritti. Nel 1986, quando l’inflazione è scesa al 4,2% ( dal 12,30% del 1983), il decreto che emanava la nuova serie “Q” variava i rendimenti promessi “in peggio”. “Poste Italiane – incalza Rizzo – utilizzava moduli prestampati in cui bisognava inserire solamente i dati degli intestatari ( sul fronte) e la data di sottoscrizione ( nel retro). L’errore? Poste ha continuato, in un caso, a utilizzare la modulistica delle serie ” P”, soprattutto, e ” O” che ovviamente riportavano i ” vecchi” rendimenti e, in un secondo caso, ad apporre dei timbri sul buono in cui indicavano, sul fronte, la nuova serie “Q”, e nel retro, i nuovi rendimenti. Ma i timbri erano incompleti. A volte riportavano i rendimenti solo per i primi venti anni, perciò non modificando quelli dal 21° al 30°. Altre volte dichiaravano che i rendimenti potevano essere successivamente variati: peccato che la modifica fosse già intervenuta, in alcuni casi anche quattro o cinque anni prima… ” . Insomma, approssimazione e sciatteria italiane a danno dei risparmiatori.

Rizzo si è rivolto all’Arbitro Bancario Finanziario, con cui ha in fase di avvio molte altre procedure. Ogni caso va valutato. Ci sono persone che non sanno di avere ottenuto meno del dovuto, ma si può presentare ricorso fino a dieci anni dall’incasso. La Cassazione, nel 2007 e nel febbraio scorso, ha riconosciuto che vi può essere una modifica ” in peggio” dei rendimenti riportati nei buoni fruttiferi postali, ma esclusivamente per quelli in data antecedente alla pubblicazione del decreto del 1986. Per le emissioni successive valgono i rendimenti indicati sul retro del documento. È prevalente – dicono i giudici – ” la tutela dell’affidamento del risparmiatore ” , cioè le condizioni riportate nella tabella sul retro del buono al momento della sottoscrizione. Conclude Rizzo: ” Ma non si possono applicare, come vorrebbe Poste, i rendimenti più bassi previsti dalla serie “Q” quando il buono è successivo al decreto del 1986″.

di Francesco Antonioli

 

APRI L'ORIGINALE


la Repubblica, 11 settembre 2019

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