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Cultura CivicaRassegna stampaLe mascherine al teatro della informazione (de)turbante

14 Ottobre 2020

La politica tra tamponi, mascherine e dubbi sulle informazioni

 

Quasi tutti sapranno quando ha iniziato a diffondersi sulla Terra l’homo sapiens: circa 200.000 anni fa.

Da quel tempo chissà quante epidemie hanno interessato la specie umana e, ciò nonostante, essa si è riprodotta a ritmi vertiginosi, fino ad arrivare ad invadere letteralmente il Pianeta grazie all’assenza di predatori.

D’altra parte non sono forse trascorsi nemmeno vent’anni da quando è diventato possibile effettuare esami di genetica medica come il cosiddetto tampone, tanto in voga in epoca Covid.

Come noto, questo test molecolare è in grado di verificare se in quel campione di materia sottoposto ad esame è presente, anche solamente in tracce quasi infinitesimali, del materiale genetico caratterizzato dalla sequenza genetica tipica dell’RNA del Sars-Cov-2.

Non è dunque in grado di dirci né se quel soggetto aveva già contratto il virus ed è guarito, né se non l’ha mai incontrato ed è ancora suscettibile di contagio, né se è da ritenersi clinicamente malato oppure no.

Tant’è vero che l’esame può dirci anche se l’aria o l’acqua o qualunque altra sostanza, sono contaminate da quel virus oppure no.

Ebbene, tutti i dati dei “contagi” che ogni giorno i media ci propinano in realtà sono dati senza alcun valore clinico relativi ai contaminati.

Ed ecco che, per la prima volta nella storia dell’umanità, la nostra vita, le nostre relazioni, la nostra economia ed il nostro futuro dipendono improvvisamente da provvedimenti governativi il cui unico parametro di riferimento è la conta dei contaminati.

Tra questi, evidentemente, si potrebbero anche annoverare animali e piante, qualora i tamponi venissero estesi anche a loro: un bel mazzo di rose su cui uno spasimante avesse sternutito prima di consegnarlo alla sua bella sarebbe ovviamente contaminato, dunque degno di quarantena!

Chiarito che si parla di contaminazioni, veniamo ai metodi inventati dalla politica pilotata in tutto il mondo dai genetisti – invece che dai clinici – per scongiurare le contaminazioni da Sars-Cov-2: distanziamento e mascherina.

Che il distanziamento funzioni, e sia qualcosa che deve appartenere alla cultura generale, è facile da capire: se hai la febbre, ti senti le ossa rotte, il naso tappato e sternutisci, devi stare a casa.

Il modello sociale pre-covid, merita ricordarlo, era esattamente il contrario: tutti in piedi imbottiti di farmaci sintomatici per dimostrare agli altri che non ci facciamo fermare da niente, nemmeno da un virus.

Molto eloquenti, a tal proposito, erano le pubblicità demenziali dei farmaci che iniziavano ogni anno in autunno, a celebrare il modello del consumista influenzato che, nonostante ciò, non rinuncia mai ad uscire a cena con gli amici.

Ora, invece, tutti a casa con 37,2°C di febbre, tutti attenti a non parlare addosso agli altri, tutti spaventati da qualsiasi sintomo simil-influenzale.

Che la mascherina funzioni più di qualche dubbio c’è.

Prima di tutto per una ragione psicologica: se pensi di mettere al sicuro te stesso e gli altri da un virus con una mascherina di tessuto in faccia sei un pericolo pubblico.

Basta ricordarsi di quante volte ci siamo presi il raffreddore senza aver nemmeno toccato gli amici, o parlato loro in faccia, ma semplicemente per essere rimasti mezz’ora in macchina con loro seduti dietro in silenzio.

Eh già, perché ci sono tre tipi di vettori dei microrganismi patogeni (virus o batteri che siano):

  • le goccioline più grandi (droplet) che emettiamo quando parliamo con enfasi, o sternutiamo, o tossiamo, e che cadono per gravità dopo un metro o due;
  • quelle più piccole (aerosol) che emettiamo in continuazione per il solo fatto che respiriamo, e che rimangono in sospensione nell’aria e l’aria stessa in cui possono essere presenti singoli virioni (gli esemplari di virus).

Ebbene: il droplet viene fermato dalla mascherina, ma anche dalla buona educazione di non sternutire e tossire in faccia alla gente, e di non parlarsi addosso.

L’aerosol non lo ferma certo una mascherina di stoffa e, in ambienti particolarmente angusti e sovraffollati, può concentrarsi fino a diventare contagioso: i virus nell’aria fanno male solo a chi li teme e diventa ipocondriaco.

Come vedete, non si tratta per niente di essere negazionisti: anzi, il contrario.

Bisogna dire a tutti che la mascherina serve quanto l’educazione di un fazzoletto in faccia quando si sternutisce, e non serve a quasi niente quando ci si soffia sul collo addossati gli uni agli altri come sardine sul pullman, o si sta per mezz’ora dal tabaccaio dentro un locale di 30 metri quadri in quindici senza una finestra aperta.

Del resto, son tutte cose che diceva anche l’OMS e che poi sono sparite come d’incanto.

Rimaniamo dunque in trepida attesa di qualche Procuratore della Repubblica che voglia incriminare mezzo mondo per violazione dell’art. 656 del Codice Penale.

Ho l’impressione che sia l’unico metodo rimasto per liberarci di una tra le più tenaci legislature che abbiano mai preso posto sugli scranni del potere in Italia.

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Il Dubbio, 13 ottobre 2019

 

 

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