Intervista all’Avvocato Alberto Rizzo, legale specializzato nella materia della tutela del risparmio
È un numero sempre crescente quello dei risparmiatori che, titolari dei buoni fruttiferi postali, agisce nei confronti di Poste Italiane per ottenere il pagamento dei rendimenti riportati nel retro degli stessi titoli.
Ma non tutti hanno il diritto a farsi corrispondere questi importi.
Il perché ce lo spiega l’Avvocato Alberto Rizzo, Giurista esperto di diritto bancario, finanziario e postale, il quale ha in atto un rilevante contenzioso a livello nazionale contro le Poste Italiane, nel quale sono coinvolti tantissimi risparmiatori, residenti in Italia come all’estero (Svizzera, Germania, Finlandia, ma anche California, Pennsylvania, Seychelles, tanto per citarne alcuni).
«Per i buoni fruttiferi postali la Cassazione, con la sentenza del febbraio 2019, ha escluso il diritto dei possessori dei buoni fruttiferi, sottoscritti fino al 13 giugno 1986, di farsi corrispondere gli interessi riportati nel retro di questi buoni. Questo perché i rendimenti riportati potevano essere modificati con un provvedimento normativo: così è avvenuto, con il Decreto Ministeriale del 13 giugno 1986, che ha fortemente diminuito i rendimenti inizialmente previsti. La stessa Cassazione, però, confermando la precedente decisione del 2007, ha chiarito che questa modifica in pejus valeva solo per i buoni emessi fino all’entrata in vigore del medesimo Decreto (13 luglio 1986, n.d.r.)».
La Cassazione ha pertanto stabilito che, per i buoni emessi dopo la modifica intervenuta con il Decreto Goria, i risparmiatori hanno diritto a farsi corrispondere quanto previsto sul titolo?
«Affermando tale principio, e circoscrivendolo in modo specifico ai soli buoni fruttiferi sottoscritti in epoca antecedente all’emanazione del D.M. del 13 giugno 1986, le Sezioni Unite della Cassazione hanno così ribadito che la modifica in pejus dei tassi di interessi non è applicabile ai buoni postali sottoscritti in data successiva alla modifica intervenuta con decreto ministeriale, e riportanti ancora i maggiori rendimenti: in questo caso, infatti, sono da considerarsi prevalenti le condizioni riportate nella tabella posta sul retro del buono postale rispetto a quelle dettate dal regolamento istitutivo, valutando come prioritaria la tutela dell’affidamento del risparmiatore. Il vincolo contrattuale tra Poste e il risparmiatore si forma, infatti, sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti. Di conseguenza, il contrasto tra le condizioni – con riferimento al saggio degli interessi – apposte sul titolo e quelle stabilite dal D.M. che ne disponeva l’emissione, deve essere risolto dando la prevalenza alle prima, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali Poste si obbliga possano essere, sin dal momento della loro sottoscrizione, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono».
Quali sono le conseguenze pratiche di questa impostazione?
«Questo significa che, così come ampiamente riconosciuto sia in sede arbitrale (Arbitro Bancario Finanziario, n.d.r.), sia in sede giudiziale, per tutti i buoni sottoscritti dai risparmiatori a partire dal 14 luglio 1986, nei quali sono riportati i rendimenti e le somme previste prima della modifica intervenuta con il D.M. del 13 giugno 1986, i risparmiatori hanno diritto a farsi corrispondere, al momento dell’incasso, le somme riportate sul buono, e non i diversi e minori importi calcolati dalle Poste. Considerato che si trattava di buoni sottoscritti dal luglio del 1986 in avanti, e che la loro durata era trentennale, scadenti perciò proprio in questi anni, sono tantissimi oggi i risparmiatori, o in alcuni casi i loro figli e nipoti, che si recano presso gli uffici postali per incassare le somme riportate sui buoni postali e si sentono dichiarare da Poste che quegli importi non sono dovuti. La verità in realtà, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, dall’Arbitro Bancario Finanziario e da numerosi Giudici di merito, è un’altra essendo necessario valutare ogni singolo buono per capire se le somme in esso riportate sono effettivamente dovute».
Recentemente, quali vittorie ha ottenuto davanti alla Giustizia ordinaria?
«Dall’inizio di quest’anno, sono arrivate quattro importanti decisioni del Tribunale di Asti e del Tribunale di Milano (https://avvocatoalbertorizzo.it/buoni-fruttiferi-postali-serie-q-p/ –https://avvocatoalbertorizzo.it/category/news/attivita-professionale/sentenze-giudici-ordinari/– https://avvocatoalbertorizzo.it/buoni-postali-e-tutela-affidamento/ – https://avvocatoalbertorizzo.it/buoni-postali-e-rendimento-per-la-serie-q-p-il-tribunale-di-asti-condanna-poste-a-pagare/), a favore delle decine di migliaia di risparmiatori che non sanno quale strada intraprendere con i loro buoni, dopo aver ottenuto la pronuncia favorevole dell’Arbitro Bancario Finanziario, nell’ipotesi in cui Poste Italiane si rifiuti di adempiere la decisione e, quindi, di corrispondere le somme dovute.
Si tratta di quattro diverse ordinanze, emesse a favore di Clienti del mio Studio Legale: i Giudici hanno riconosciuto il diritto dei risparmiatori a riscuotere gli importi previsti nella tabella collocata sul retro dei buoni, rispetto agli importi già corrisposti da Poste, oltre gli interessi legali.
I risparmiatori coinvolti in questi procedimenti civili si erano già visti riconoscere le loro ragioni da pronunce favorevoli dell’Arbitro Bancario Finanziario ma, dopo i termini di fase, si erano trovati dinnanzi all’inadempimento di Poste. E, così, tutte le posizioni sono state sottoposte all’esame della Magistratura ordinaria, che ha esaminato il rapporto tra buoni postali e rendimento. In tutti e quattro i casi si è seguito una procedura semplificata – disciplinata dagli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile –, che si sono svolte nel giro di pochi mesi e, tutte le decisioni, hanno riconosciuto le ragioni dei titolari dei buoni.
I Giudici, nei loro provvedimenti, hanno ribadito la prevalenza di quanto riportato sui buoni fruttiferi rispetto alle modifiche apportate con decreto ministeriale in epoca antecedente alla firma degli stessi, e senza che a nulla valesse, a tal fine, il timbro apposto da Poste. Quest’ultimo, infatti, prevedeva gli interessi dovuti esclusivamente per i primi venti anni di validità dei titoli, non prevedendo nulla per gli interessi da corrispondersi in favore dei titolari per gli ultimi dieci anni.
Si tratta di quattro importanti decisioni per le decine di migliaia di titolari dei buoni postali che in questi anni, decorsi i trent’anni dall’emissione, vanno presso gli uffici postali e, ignari dei loro diritti, si vedono riconoscere importi notevolmente più bassi rispetto ai rendimenti previsti negli stessi titoli. Sono precedenti che, molto probabilmente, convinceranno tantissimi altri risparmiatori a procedere per la tutela dei loro diritti, in tutte le sedi giudiziarie competenti, rivolgendosi a Professionisti specializzati nella delicata materia della tutela del risparmio».
Sabrina Bosia
BancaFinanza, numero 03/2021
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