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Cultura CivicaQuarantena: il deficit democratico

15 Aprile 2020

Prima o poi si uscirà dalla pandemia da Covid-19. L’umanità, in passato, ha già superato altre durissime prove, ben più pericolose, uscendone sempre viva, riportando più di una semplice frattura alle ossa.

Superare la crisi economica e finanziaria che sta avanzando sarà, invece, decisamente più difficile. Si assisterà sicuramente ad un crollo del PIL, congiunto ad un fabbisogno di liquidità da iniettare nel sistema, se non altro per consentire alla popolazione di sopravvivere. Queste sono ormai due certezze, di cui tutti ne sono consapevoli.

Dal punto di vista giuridico e sociale, invece, allo scopo di fronteggiare l’emergenza coronavirus, il governo ha adottato misure extra ordinem, non ricorrenti prima d’ora nella storia repubblicana.

Tali misure sono state giustificate dallo stato di eccezione, dichiarato in presenza di un’emergenza sanitaria, la quale avrebbe imposto di sospendere il rispetto dello Stato di Diritto, al fine di dedicare ogni energia al superamento dell’emergenza medesima.
“Sovrano secondo Carl Schmitt (Teologia politica) è chi decide sullo stato di eccezione”.

Al riguardo, non vi è dubbio che: sia il parlamento l’unico luogo ove, legittimamente e costituzionalmente, si possa dichiarare lo stato di eccezione e approvare norme limitative della libertà personale; sia, in casi straordinari di necessità e urgenza, il governo ad adottare un atto normativo di carattere provvisorio avente forza di legge, ai sensi dell’art. 77 della Costituzione.

Un passaggio parlamentare, in effetti, nella gestione della crisi sanitaria, c’è stato con la conversione del decreto legge 17.03.2020 n. 18 e, tuttavia, le restrizioni dei diritti fondamentali in capo ai cittadini sono giunte attraverso i D.P.C.M., ovvero i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Si ricorda, in proposito, che il governo è un organo collegiale, rispetto al quale il Presidente del Consiglio è un semplice primus inter pares.
È, quindi, legittima la decretazione del Presidente del Consiglio dei ministri in materie, come gli articoli 13, 16, 17, 19, 24, 33 e 42 della Costituzione, coperte da riserva di legge e con una incidenza altamente restrittiva dei diritti fondamentali?

Anche a voler sospendere il giudizio, in attesa che venga superata la pandemia, fin da ora è sicuramente legittimo nutrire più di un dubbio, trattandosi di una fonte sub primaria. I D.P.C.M., infatti, si collocano in una zona grigia della classificazione delle fonti del diritto, tra atto politico ed atto amministrativo, e sfuggono al controllo del Parlamento, del Presidente della Repubblica e della Corte costituzionale.
Gli strappi alle regole dello Stato di Diritto, peraltro, non finiscono qui.

Troppe, infatti, le ordinanze, ulteriormente restrittive, adottate in maniera alluvionale da parte di presidenti di regione e sindaci, in una vera e propria corsa al rialzo sul lockdown: si assiste, impotenti, ad una deriva localistica della gestione dell’emergenza sanitaria, assolutamente non accettabile, poiché le deroghe alla libertà di circolazione possono essere stabilite soltanto con provvedimenti di livello nazionale.

Insomma, il diritto emergenziale deve comunque rispettare i principi democratici: ne va della tenuta del sistema nel suo complesso (Minniti, “Lo stato di eccezione”, Aracne Editrice, 2015). Fin qui, tutte queste misure sono state bene accette, e ciò costituisce un male. Tutte le forme di autoritarismo si sono affermate con il consenso delle gente.

Oggi, infatti, pare di risiedere in una società dove il pensiero comune ritiene che nien te sia peggio della morte, e soprattutto non la schiavitù. L’inconveniente è che questo tipo di società finisce sempre per morire. Dopo essere stata ridotta in schiavitù (Alain De Benoist).
Orwell – al riguardo – ha avuto il merito non solo di prefigurare il futuro, ma di farlo così bene da essere più accurato e profondo del più raffinato intellettuale d’oggi. Oltre un secolo fa, infatti, riportava un episodio

  • nel suo capolavoro, “1984” in cui O’Brien uno degli sgherri del governo totalitario cerca di convincere Winston il povero protagonista dissidente
  • che “2+2” dà come risultato “5”.

La cosa interessante è questa: Winston non deve solo dire una menzogna. Deve realmente convincersi di quella menzogna, deve pronunciarla non per compiacere il carnefice, ma per plagiare in maniera irreversibile il proprio cervello. Alla fine ci riesce. È la vera, tombale, vittoria del regime.
Un regime “serio” – questa la straordinaria intuizione di Orwell – non vince davvero se ti costringe a pensarla come lui.
I regimi perfetti vanno oltre: ottengono dalla coscienza e dall’intelligenza delle loro vittime una resa totale e incondizionata. Questa consiste non nella disponibilità a mentire, ma nella trasmutazione della menzogna in verità. Oggi, questo scenario si è realizzato rispetto a molte vicende: che sia la BEI, il MES, i Corona bond, il SURE, o qualsiasi altro meccanismo, la verità che pare tingersi di conferma all’orizzonte è soltanto una, consistente nel fatto che i cittadini “aiutano” se stessi spendendo più soldi di quelli ricevuti, e cioè impegnandosi a restituire il presunto atto di generosità, con gli interessi, per i decenni a venire. Niente è a fondo perduto, nulla è “regalato” dallo Stato. Ogni risorsa proviene dalle banche e dovrà essere restituito da privati, famiglie ed imprese.
Tuttavia, il vero problema, se si analizza a fondo la questione, non è economico: è psicologico. Chiunque ha ancora un briciolo di coscienza critica “vede” queste cose.
Il dramma è il numero enorme di soggetti, sia tra i governanti che tra i governati, che non le “vedono” più.
Alcuni – quando parlano di “impegno straordinario”, di “sfida epocale” – certamente mentono sapendo di mentire. Ma moltissimi altri mentono “non” sapendo di mentire. Sono giunti allo stadio di intossicazione cronica della coscienza di cui parlava Orwell: quello dove “2+2” fa “5”, con un impegno preoccupante ad abolire la socializzazione umana, in modi e modalità che portano ad un disagio inimmaginabile. “L’unica cosa che dobbiamo temere è la paura stessa un terrore senza nome, irragionevole, ingiustificato, che paralizza gli sforzi necessari per convertire la ritirata in progresso”. Le parole sono di Franklin D. Roosevelt. La sua sfida era la recessione, non la malattia, ma le sue parole hanno, oggi più che mai, una risonanza più ampia.
La paura è pericolosa. È il nemico della ragione. Sopprime l’equilibrio ed il giudizio. Ed è contagiosa.
Il coronavirus, probabilmente, è l’esempio più recente e dannoso, con governi che hanno adottato, con il sostegno dell’opinione pubblica, le misure più estreme e indiscriminate, sottoponendo la maggior parte della popolazione, giovane o anziana, vulnerabile o in salute, alla detenzione domiciliare a tempo indeterminato, in un quadro di incertezza giorno dopo giorno sempre più inquietante e pericolosa per la nostra Democrazia.

In sintesi, di seguito i principali elementi di criticità riscontrabili nell’attuale situazione:

  1. La limitazione del diritto costituzionale alla circolazione può essere ipotizzato soltanto sulla base di una identificazione della malattia certa, fondata su presupposti oggettivi, legati alla tipologia dell’emergenza sanitaria, consistente in un “virus da contatto, non aereo”. Al riguardo, i Protocolli specifici di prevenzione per la tutela del personale sanitario prevedono, essenzialmente, due condizioni di salvaguardia per la sanità pubblica:
    – il distanziamento di un metro dalle altre persone;
    – e, fino a prova contraria, trattandosi di un contagio trasmissibile per contatto sotto tale distanza, la permanenza con una persona infetta per oltre 15 minuti. Pertanto, se si salisse sulla propria autovettura, da soli, non si potrebbe contagiare alcuno, viaggiando indisturbati sino al confine dello stato, circolando liberamente per tutte le zone del Paese. Ma ciò è vietato, illegittimamente e forse anche illecitamente dall’attuale governo.
  2. La limitazione della libertà di circolazione, così come è congeniata (sostanzialmente non si può più uscire di casa), si trasforma
    in violazione della libertà personale, la quale non può mai essere limitata, se non in casi particolari ed individuali (vedi, ad esempio, il
    T.S.O. – Trattamento Sanitario Obbligatorio).
  3. La violazione della libertà costituzionale di professare la propria religione con il divieto imposto di recarsi
    ai templi delle varie confessioni, al fine di professarla singolarmente.
  4. L’assordante silenzio su questi provvedimenti liberticidi da parte del Presidente della Repubblica, che su profili di tale gravità non si è ancora espresso, ma anzi ha avallato, rendendo di estrema attualità la considerazione di Albert Einstein, secondo cui: “Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.
  5. In Italia, poi, non esiste lo stato di emergenza, ma solo di guerra. La nostra Costituzione conosce lo “Stato di guerra” (art. 78, Costituzione), non lo “Stato di emergenza”. Non a caso, lo Stato di emergenza è stato dichiarato in base agli artt. 7, 1° comma, lettera c) e 24, 1° comma, Decreto legislativo 2 gennaio 2018 n. 1: quindi, in base ad una legge ordinaria, ovvero in forza del Codice della protezione civile, e non in base alla Costituzione. Ad ogni modo lo “Stato di guerra” deve essere deliberato dal Parlamento, il quale stabilisce quali sono i poteri del Governo per far fronte alla situazione (art. 78 Cost.), ed infine deve essere dichiarato dal Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.).
    Nel nostro caso lo “Stato di emergenza” non è stato invece deliberato dal Parlamento, né dichiarato dal Presidente della Repubblica. Dal che, in breve, si può affermare come né la nostra Costituzione, né la nostra legge ordinaria, offrono strumenti per dar disciplina giuridica all’odierna tragedia. Ma l’assenza di riferimenti costituzionali ed ordinari per far fronte ad una pandemia da virus non significa allora libertà piena per il Governo di adottare ogni misura. Ciò è escluso dallo stesso Codice della protezione civile che, all’art. 25, espressamente prevede come ogni provvedimento debba essere adottato “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea”. Dunque, seppur la nostra Costituzione non contenga una disciplina specifica dello “Stato di emergenza”, non di meno la legislazione di emergenza deve rispettare la nostra Costituzione, nonché i principi dell’Unione europea, per tutto quanto emerge dalla nostra Costituzione e dai principi dell’Unione europea.
  6. La politica di disumanizzazione ha portato ad impedire l’ultimo saluto da parte dei famigliari ai moribondi, la chiusura delle scuole, il divieto ai bambini di stare all’aperto, quando anche un depensante sa che il sole agisce in maniera determinante nello sviluppo degli anticorpi, così fondamentali nella lotta senza confine contro questo virus.
  7. L’informazione di regime è l’antitesi della libertà di stampa: è sufficiente leggere i giornali stranieri per comprendere che, quanto riportato dai nostri media, in larghissima parte costituisce menzogna.
  8. La gestione della politica di aiuti attraverso lo Stato, congiunta all’inefficienza della burocrazia, permetterà l’esplosione della spesa pubblica in ambiti del tutto estranei all’emergenza sanitaria, grazie a quella che Sansonetti (Il Riformista, 14 aprile), definisce
    la “buro-dittatura”, dopo le grida d’allarme lanciate da Sabino Cassese,, uno tra i più autorevoli ed illuminati Giuristi del nostro Paese, “La pandemia non è una guerra. I pieni poteri al governo non sono legittimi” (Il Dubbio, 14 aprile).
  9. Il rischio di deriva autoritaria è molto alto in una Nazione – l’unica nel mondo occidentale – dove la strategia della tensione negli anni 70/80 era orchestrata da apparati dello stato per provocare un approdo dittatoriale.
  10. Questo Paese ha un livello di corruzione endemica altissimo, associato ad una economia in nero altrettanto alta, così come l’evasione e, unico caso insieme al Messico, ha ben quattro regioni in mano alla criminalità organizzata. Questi cancri irreversibili sono aggravati da una gestione dell’emergenza incostituzionale, approssimativa e minata ancora di più da un regionalismo incompiuto, inconcludente ed in mano ad una classe politica totalmente impreparata ed inadeguata.
  11. La censura di fatto – offerta dai grandi motori di ricerca – delle opinioni discordanti è la prova provata della maturata illiberalità di questo Paese. La volontà di affermazione del pensiero unico, l’idea che le cose potessero stare soltanto in un certo modo, unite alla considerazione crescente della non opportunità del dubbio, costituiscono pericolosi attentati alla nostra Democrazia, che occorre sminare con tutti i mezzi a disposizione. Anche in un periodo di emergenza sanitaria la libertà delle idee non può venir meno.
  12. Non è previsto legislativamente un comitato di crisi (attualmente duplice e pletorico, sia per la parte relativa al tracciamento, sia per la parte relativa alla ripresa) e, quindi, si procede con scelte fantasiose, completamente adottate fuori dai parametri legislativi, costituzionali e sistematici, cercando – e, purtroppo, riuscendo – a far passare il valore della salute pubblica come preminente sulla libertà personale.
    In tempi non sospetti, il costituzionalista Alessandro Pace, con la voce dell’Enciclopedia del Diritto “Libertà personale” (dir. cost.), scriveva espressamente che “Va subito affermato che non sembra che l’art. 13 possa cedere all’art. 32; pertanto tutte le restrizioni coattive per motivi di sanità devono di necessità seguire la via giurisdizionale prevista da quell’articolo” (pag. 298). Ed ancora Alessandro Pace “D’altro canto mai potrebbe, dall’autorità pubblica, essere invocato l’art. 32 Cost. per derogare, per motivi di salute, alla portata e alle garanzie dell’art. 13” (pag. 296).

Correva l’anno 1974.

 

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