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Cultura CivicaSpes contra spem e la grande mistificazione

5 Aprile 2021

Gran parte dell’emergenza sanitaria si fonda sulla mistificazione. Si tratta del controllo di un’epidemia condotto attraverso la conta dei contagiati (ed il lockdown). Ed attuata mediante la rilevazione della presenza di parti di genoma del virus nelle mucose delle persone, tramite un test molecolare (tampone).

 

Questa follia tecnicistica, che è un’aberrazione assurda della corretta visione scientifica del problema, è il presupposto legittimante di tutto l’impianto “ideologico” del regime terapeutico globale che si tramuta in lockdown.

Tutto affidato nelle mani di un esponente di un partito: inesistente nel Paese e minuscolo in Parlamento, quale è LeU. Perché sia stato assegnato a Contra spem (definiremo così il noto ministro potentino) questo ruolo è a dir poco strano comprenderlo. Fatto ancora più incomprensibile è che lo stesso ministro sia stato addirittura confermato nel governo Draghi.

La posizione di Der Spiegel sul lockdown italiano

Anche l’autorevole Der Spiegel inserisce Contra spem, assieme al precedente Presidente del Consiglio, in un dossier nel quale denuncia le malefatte, le omissioni e gli insabbiamenti nell’emergenza coronavirus.

Senza scomodare il prestigioso periodico tedesco, ci eravamo accorti anche in Italia che il ministro era a dir poco inadeguato. Niente aggiornamento del piano pandemico. Nessun potenziamento dei posti letto ospedalieri. Protocollo sanitario anti-Covid che non contempla, in modo letale per tanti pazienti, le fondamentali cure domiciliari. Queste le principali lacune. Contra spem è stato capace solo di chiudere tutto e continua tutt’ora imperterrito: le zone rosse del lockdown costituiscono il refrain dell’azione degli ultimi due governi.

Le reali motivazioni della nomina al ministero della Salute

Ecco, proprio sul chiudere tutto e sulle conseguenze sociali ed economiche di tali misure, possiamo trovare qualche solida motivazione della sua nomina alla Salute.

La principale ragione è che Contra spem sia stato messo lì esattamente per fare quello che ha fatto. Perché proprio lui? Viene da una formazione politica numericamente irrilevante, non ha di suo un carisma o una forte personalità, non si è mai occupato di sanità in vita sua: a Potenza faceva l’Assessore all’Urbanistica ed è laureato in Scienze Politiche. Insomma, apparentemente non c’è una ragione logica per la quale sia stato nominato in quel ruolo e ne sia stato confermato dopo la rovinosa gestione dell’emergenza.

A quest’ultimo proposito, ricordiamo che la John Hopkins University ha certificato come l’Italia sia il Paese al Mondo con il più alto numero di morti per Covid ogni 100.000 abitanti nonostante le restrizioni pesantissime e la più parte illogiche e le reiterazioni del lockdown. Un disastro, al quale sarebbe dovuta conseguire una cacciata con ignominia, ed invece Contra spem ha avuto il premio e sta ancora lì ad impartire lezioncine in tv. Ma da che mondo politico viene Speranza?

Il lockdown come soluzione moralmente “giusta”

Giunge dal sistema di potere del Macchiavelli in salsa liberal.
Costui, da tempo fuori dal Parlamento, esercita un’influenza notevole sui governi di cui fa parte la sinistra (cioè, in Italia quasi tutti). Questo potere lo gestisce da presidente della Fondazione ItalianiEuropei, un think tank diventato molto solido e importante all’interno della galassia dei “pensatoi” del mondo progressista europeo.

Contra spem è membro del comitato di indirizzo della Fondazione ItalianiEuropei. In questo universo politico progressista il lockdown non è solo proposto come l’unico rimedio al virus, ma anche come una soluzione moralmente “giusta”.
Cioè, l’osservanza cieca delle misure restrittive è segno distintivo di civismo, di amore per gli altri, di superiorità morale (vecchio difetto della sinistra di tutto il Mondo). Chi esprime dubbi o dissenso verso le misure liberticide è un incivile, un parvenu e, in fin dei conti, un bieco fascista. Da questo punto di vista, Contra spem in Italia ha portato avanti questa impostazione, con coerenza e massima determinazione.

Il fabianesimo e la ricetta post pandemica

La fondazione più importante e più influente di questa galassia europea è la britannica Fabian Society. Come noto ai più, la Fabian prende il nome da Quinto Fabio Massimo, detto il Temporeggiatore.
Il fabianesimo, fin dalla sua fondazione nel 1884, crede nella graduale evoluzione della società, tramite riforme che portino gradualmente al socialismo, a differenza del marxismo, il quale propugna invece un cambiamento rivoluzionario.
La Fabian è tendenzialmente contraria alla proprietà privata, in particolar modo a quella dei piccoli proprietari e dei piccoli imprenditori.

Uno dei tanti fabiani illustri del passato è George Orwell, autore di “1984”. Si tratta del romanzo che descrive un futuro distopico dell’umanità, mai così vicino alla realtà come oggi.
La Fabian Society è al tempo stesso fortemente elitaria e convintamente collettivista e lo stesso John Maynard Keynes era fabiano.

Tornando al lockdown ed al coronavirus, è molto interessante esaminare cosa scrive a proposito il giornale di riferimento, fondato della Fabian Society, cioè New Statesman.

Negli articoli sulla pandemia si leggono sì dei richiami a qualche abuso dei governi sulla segregazione, o alle conseguenze negative della stessa, però il messaggio di fondo che emerge è: ma siamo sicuri che prima si stava così bene?

Che il ritorno alla normalità e al divertimento di massa sia un fatto auspicabile?
Dopotutto, i cittadini hanno dato il meglio di sé durante la pandemia, mentre prima stavamo affossando il pianeta con l’inquinamento ed il cambiamento climatico.
Ora invece anche il lavoratore meno qualificato avrà diritto all’accesso alla tecnologia e potrà pretendere di recarsi in ufficio solo alcuni giorni a settimana, lavorando da casa i giorni restanti.

Sul versante economico, se si leggono gli speech di studiosi vicini alla Fabian, la ricetta post pandemia è sintetizzabile in più debito e più tasse.

Il ruolo di Mario Draghi

E qui possiamo tornare in Italia. Chi è il massimo sostenitore del debito (quello buono, si intende)?
Mario Draghi. Lo ha fatto gonfiare da governatore della Bce con il Quantitative Easing per salvare l’euro dal naufragio cui era destinato dal mercato e lo sta facendo, come un Conte qualsiasi, da Presidente del Consiglio. Sta alimentando l’illusione che si possano allentare all’infinito i vincoli di bilancio, facendo finta di non accorgersi che presiede un Paese che:

è ben sopra il 160 per cento di rapporto debito/PIL;

ha già effettuato oltre 100 miliardi di scostamento;

ora si prepara a contabilizzarne altri 20, oltre ai 27 miliardi arrivati dai fondi europei Sure.

Il conto di tutto ciò verrà presto presentato agli italiani e Draghi lo sa benissimo. Non dice una parola sull’unica vera soluzione di questo problema: la crescita.
Anzi, continua a promettere ulteriori chiusure delle imprese, se non faremo i bravi. D’altra parte, glielo impone “l’evidenza scientifica”, che ci può fare lui? Insieme a Contra spem, è un convinto chiusurista e cultore di tutte le sfumature di rosso.

È urgente tornare a vivere: basta lockdown!

Non ci dice che l’unico modo di salvare il Paese è tornare a vivere e a fare libera economia. Ha messo nel mirino la piccola e media impresa, fin dal discorso per la fiducia al suo governo, promettendo che gli aiuti saranno selettivi, cioè solo per quelle imprese che, a suo giudizio, avranno un futuro.
Persegue la politica assistenzialista del reddito di cittadinanza, così da far dipendere sempre più i cittadini dallo Stato e non dal proprio lavoro. Vuole la transizione ecologica e tecnologica per “salvare il clima” (Greta docet) ed affossare gli imprenditori “che inquinano”.

Dalle sue prime mosse pare gradire il controllo dello Stato sulle vite dei cittadini/sudditi. Sta minando alle fondamenta la proprietà privata con la proroga del blocco degli sfratti, esproprio proletario da gauche caviar, tutto proprio come un bravo fabiano.

Sì perché Draghi è un liberal, non un liberale. Lui si definisce socialista liberale, che è un ossimoro ma che lo riconduce dritto alla tradizione del fabiano più importante d’Italia: Carlo Rosselli.
Ma noi continuiamo a credere nel brocardo (non nel ministro) Spes contra spem, perché speriamo nonostante la delusione, speriamo l’insperabile, e crediamo soprattutto nella morte della morte.

Ricordiamo l’apostolo Paolo che, nella lettera ai Romani 4:18, fa riferimento all’incrollabile fede di Abramo: “Benché al di là della speranza, basandosi tuttavia sulla speranza ebbe fede che sarebbe divenuto il padre di molte nazioni”.
Ed ammiriamo, attoniti, il dipinto di Renato Guttuso, che a questo articolo ha suggerito il titolo, dopo le citazioni ben più famose delle nostre di Giorgio La Pira e Marco Pannella.

 

Guttuso. Spes contra spem

(Renato Guttuso, Spes contra Spem, 1982, Olio su tela, Varese, Fondazione Francesco Pellin).

 

Guardiamo l’opera

Quest’opera ripercorre la vita dell’artista: il passato, il presente e l’incerto futuro. Il Maestro, infatti, fu stroncato da un tumore ai polmoni.
La scena è suddivisa in tre parti. A sinistra i suoi libri e i suoi amici e maestri, lui e la moglie Mimise, sul cavalletto un’opera di Picasso. Nella libreria in alto a sinistra si notano un teschio e un uovo, simboli della nascita e della morte.
A destra ci sono persone che parlano, mentre al centro, davanti alla finestra, domina la scena una donna ripresa di spalle, nuda, bionda e formosa. Oltre il mare, si intravede la città natale del pittore, Bagheria. Nel nudo della donna l’artista vuole rappresentare l’essenza della nostra esistenza: appunto, bella ma nuda.

La situazione creata è di attesa, un momento di sospensione, di riflessione.  L’unica azione dinamica la compie la bambina, attraversando di corsa la scena. La bimba supera la tartaruga vicino allo sgabello, forse per dare l’idea della velocità con la quale viviamo la nostra esistenza, mentre la tartaruga simboleggia il lento percorrere della vita.

In alto a dominare la scena, oltre a una antenna della televisione, sono raffigurate le teste mostruose di pietra su cui l’artista, da bambino si arrampicava, del giardino di Villa Palagonia, la “villa dei mostri”, edificio settecentesco situato a Bagheria. A prima vista risaltano i colori forti, reali, vividi.

In questo dipinto, Guttuso, mette in scena la sintesi della vita con cerimonia di addio. Sia che si corra o che si proceda lentamente nella vita, alla fine ogni uomo, in un modo o nell’altro, spera contro ogni speranza. È nella sua natura.

Alberto Rizzo

 

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BancaFinanza – Maggio 2021

 

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